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Volontaria per sei mesi in Guinea Bissau Un bambino a Milano va al nido fin dal 4° mese di vita, poi frequenta le materne e solo dopo anni di pre-scolare arriverà alle elementari per iniziare una carriera scolastica che finirà intorno ai 25/26 anni di età. Sarà stimolato continuamente da apposite attività ludico-pedagogiche studiate da un’equipe educativa che struttura tali attività in base alla sua età, alle sue capacità e allo sviluppo cognitivo ed emotivo. A Bissau un bambino nasce e la sua prima “educatrice” sarà la sorellina di 6/7 anni, un altro accompagnerà la mamma al mercato e mentre lei lavora lui gironzolerà lì intorno, e solo se sarà molto fortunato avrà altri compagni di gioco altrimenti lo farà da solo. La sua mente non sarà stimolata. Chi fa parte di una ristrettissima élite potrà andare a scuola dove un’equipe di educatori si barcamena cercando di mettere insieme un programma che vada bene per un gruppo di bambini così diverso per età, lingua, etnia, religione, … Crescendo qui da noi si ha la possibilità, anzi l’obbligo, di frequentare una scuola superiore e una studentessa generalmente ha diritto ad una classe, un banco, una sedia, uscite formative e magari una gita all’estero dove conoscerà una nuova cultura. Se a Bissau una ragazza frequenta una scuola superiore statale rischia di passare molti mesi a casa per via dei continui scioperi che non permettono il regolare svolgimento delle lezioni: il sistema formativo è bloccato e quando è l’istruzione a fermarsi è un’itera nazione che s’inginocchia. Ho conosciuto professori, professoresse e studenti di diversi licei statali e il disagio, il dispiacere e la rassegnazione erano sentimenti comuni a tutte queste persone che se da una parte vedevano nell’istruzione il mezzo attraverso il quale attivare e portare avanti l’emancipazione della Guinea dall’altra non potevano fare a meno di constatare come questa crescita fosse in realtà completamente arrestata da scioperi e politiche di governo che evidentemente non appoggiavano uno strumento così fondamentale come l’istruzione. Il malessere generale infatti era fomentato da un governo che non ha mai ritardato nel pagamento delle mensilità dei militari, mentre lasciava i professori nella miseria dimenticandosi di loro e dei loro stipendi per più di due anni. Inevitabilmente tutto questo ha ripercussioni sul lavoro educativo portato avanti quotidianamente: se penso a quello che io faccio in Italia come educatrice e se immagino di non ricevere lo stipendio per più di due anni non posso immaginare con quali energie la mattina mi sveglierei per andare a lavorare; è ovvio che non si lavora solo ed esclusivamente per lo stipendio ma senza denaro è impossibile avere una vita dignitosa e un’indifferenza del genere mi porterebbe a pensare a quanto il mio lavoro sia poco considerato. Ho lavorato nella scuola San Paolo ma ho anche avuto la possibilità di seguire qualche lezione nel liceo statale Jeorge Jampa dove Antonieta (la direttrice della scuola S. Paolo lavora come professoressa) e ho visto una realtà che mi ha particolarmente colpita. Come le altre scuole statali anche la scuola Jorge Jampa è costruita con la paglia, il pavimento è inesistente e si cammina direttamente sulla sabbia, le aule sono provviste di banchi, sedie per gli alunni e una lavagna; i professori arrivano muniti di gessetti (che scarseggiano nella struttura), cancellino per la lavagna ed una sedia per loro. Antonieta è una professoressa di portoghese e per la sua lezione aveva previsto una lettura: porta un paio di fogli che poi i ragazzi avrebbero fotocopiato a spese loro in una copisteria di Bissau. La lezione si svolge in questa aula che ha le pareti di paglia, nelle aule subito accanto ci sono altre lezioni ed inevitabilmente l’ambiente risulta confusionario: una ragazza dell’ultimo banco faticherà ad ascoltare la sua professoressa perché in realtà è molto più vicina al professore che sta facendo lezione nell’aula dietro di lei: ciò che li divide è una sottilissima parete di paglia. Ho parlato con ragazzi e ragazze della scuola e tutti sembravano accorgersi dell’umiltà di quell’ambiente e di quanto fosse difficile costruirsi un futuro in quelle condizioni, mi hanno fatto moltissime domande e ho percepito molto calore da giovani che nonostante la difficile realtà nella quale erano inseriti capivano e apprezzavano la fortuna che avevano nell’avere la possibilità di poter frequentare una scuola; non dimentichiamo infatti che moltissimi bambini, adolescenti e giovani ghinensi rimangono fuori dall’iter formativo non avendo la possibilità di far fronte a tali spese. Ho vissuto sei mesi in Guinea Bissau e senza fare generalizzazioni, ho visto e conosciuto molto; un’esperienza come questa non può che cambiarti profondamente facendoti riflettere su quanto ti era successo. Ogni piccola esperienza del quotidiano ha la capacità di farti riflettere e crescere in maniera profonda e sempre più responsabile sia nei confronti di quello che sai avere in Italia sia rispetto a tutte le risorse che ho trovato lì. Ora riesco ad apprezzare davvero quello che una società come la nostra riesce a darti senza perdere di vista tutto quello che un paese come la Guinea Bissau potrebbe insegnarci.