Niente ma tutto!
Posted by Serena Grimaldi
«Cosa mi aspetto? di tornare più pesante di prima: arricchirmi di entusiasmo, riscoprire la bellezza delle piccole cose, condividere e donare il più possibile e riempire il mio cuore e la mia anima di essenza vitale! Anche se con un po’ di timore posso fermamente dire sono PRONTA!!!».
Queste erano le parole scritte nel mio diario di bordo la notte prima della partenza verso il Mozambico. Aspettative pienamente soddisfatte anzi ampiamente soddisfatte! Settimane intense, immersi in una realtà differente ma al contempo affascinante e paradossalmente piena di ricchezze. Il 28 luglio 2015 nel tardo pomeriggio sono arrivata con i miei compagni di bordo Pio, Scila, Valeria e Paola, in questa splendida terra dopo un lungo e attesissimo viaggio. Tutto è cominciato a cambiare già durante la fase di atterraggio, quando ho intravisto il territorio. Parole svanite, occhi sbalorditi alla vista delle case, ero frastornata e contenta allo stesso tempo per essere lì finalmente. Durante il tragitto dall'aeroporto alla casa delle missionarie che ci hanno ospitato, osservare era l’unica cosa da fare. Persone, tante persone ovunque; alcune vendevano cibo ordinatamente posizionato su teli posti in terra lungo la strada, molti camminavano con cesti sul capo, ragazzi e ragazze andavano verso scuola. Noi osservavamo loro e loro osservavano noi, era un susseguirsi di sguardi: io attonita e incredula, loro incuriositi e meravigliati. Cercando la lucidità nella mia testa confusa, ammiravo con un senso di angoscia ciò che mi circondava ma al contempo ero affascinata dal caos, dalle casette, dai mercatini in strada, dagli occhi spalancati di questa gente affaccendata nella loro quotidianità. L’accoglienza spettacolare delle ragazze mozambicane in casa mi ha quasi fatto dimenticare l’impatto avuto all'arrivo. Io e la mia equipe ci siamo ritrovati coinvolti dai loro canti e balli, così ricchi di gioia ed allegria da scuotermi dal groviglio confuso e turbato dei miei pensieri e iniziarmi a quello che da lì a poco sarebbe diventata quotidianità: capacità di vivere intensamente, ogni attimo e di goderne. I giorni sono trascorsi velocemente, a ritmo serrato, ma sempre diversi. Tanti bambini che ogni giorno giocavano con noi, era spettacolare vederli correre tutti dietro a una palla a piedi scalzi, tra erba, terra e polvere che si alzava. Ero stupita dalla loro bravura e dalle impronte che lasciavano impresse sulla terra, dall'impegno che mettevano nel fare i giochi da noi proposti. Apprezzare tutto ed essere curiosi di ciò che non conoscevano e gioire per un occhiolino, una linguaccia, una faccia buffa, una cosa detta magari anche in modo errato per la lingua diversa, un battito di mani, ha riportato alla luce un’antica e primitiva gioia di vivere! Col passare del tempo ero convinta sempre più che non potevo essere in nessun’altra parte del mondo se non proprio lì, li proprio in quel momento, a dispetto della mancanza della famiglia, delle comodità, a dispetto di tutto. Qualche volta mi sono soffermata su come si vive lì, sulle prospettive future dei bambini sulle poche opportunità e ho faticato in tante situazione. Ad essere onesta non credo di esserci ancora riuscita, ma d’altra parte, si potrebbe mai? In varie occasioni l’accoglienza ricevuta mi ha spiazzata. Niente ma tutto! Non avevano nulla ma donavano tutto, il senso di comunità e di unione pur stando lì un mese, è una di quelle cose a cui non ci si abitua. Fatichi a comprenderlo e ne resti continuamente sorpresa. Ho assaporato ogni attimo il più possibile, fotografando nella mia mente ogni sorriso visto, ogni sguardo catturato, ogni abbraccio sentito con la speranza di rubare quegli istanti e portarli nel cuore probabilmente per sempre. Non so ancora in quali termini, ma certamente questa esperienza mi ha cambiata. La consapevolezza che ciò che hai fatto o donato non potrà mai essere abbastanza, un po’ fa male ma d’altra parte pur donando tutto ciò che avevo, sia materialmente che umanamente parlando, penso sempre che sia stata io ad aver ricevuto di più, più di quanto sia stata in grado di donare, probabilmente perché quello che mi porto a casa delle persone che hanno fatto la mia esperienza non può essere comprato, non ha prezzo, eppure ti riporta alla vita.
«Cosa mi aspetto? di tornare più pesante di prima: arricchirmi di entusiasmo, riscoprire la bellezza delle piccole cose, condividere e donare il più possibile e riempire il mio cuore e la mia anima di essenza vitale! Anche se con un po’ di timore posso fermamente dire sono PRONTA!!!».
Queste erano le parole scritte nel mio diario di bordo la notte prima della partenza verso il Mozambico. Aspettative pienamente soddisfatte anzi ampiamente soddisfatte! Settimane intense, immersi in una realtà differente ma al contempo affascinante e paradossalmente piena di ricchezze. Il 28 luglio 2015 nel tardo pomeriggio sono arrivata con i miei compagni di bordo Pio, Scila, Valeria e Paola, in questa splendida terra dopo un lungo e attesissimo viaggio. Tutto è cominciato a cambiare già durante la fase di atterraggio, quando ho intravisto il territorio. Parole svanite, occhi sbalorditi alla vista delle case, ero frastornata e contenta allo stesso tempo per essere lì finalmente. Durante il tragitto dall'aeroporto alla casa delle missionarie che ci hanno ospitato, osservare era l’unica cosa da fare. Persone, tante persone ovunque; alcune vendevano cibo ordinatamente posizionato su teli posti in terra lungo la strada, molti camminavano con cesti sul capo, ragazzi e ragazze andavano verso scuola. Noi osservavamo loro e loro osservavano noi, era un susseguirsi di sguardi: io attonita e incredula, loro incuriositi e meravigliati. Cercando la lucidità nella mia testa confusa, ammiravo con un senso di angoscia ciò che mi circondava ma al contempo ero affascinata dal caos, dalle casette, dai mercatini in strada, dagli occhi spalancati di questa gente affaccendata nella loro quotidianità. L’accoglienza spettacolare delle ragazze mozambicane in casa mi ha quasi fatto dimenticare l’impatto avuto all'arrivo. Io e la mia equipe ci siamo ritrovati coinvolti dai loro canti e balli, così ricchi di gioia ed allegria da scuotermi dal groviglio confuso e turbato dei miei pensieri e iniziarmi a quello che da lì a poco sarebbe diventata quotidianità: capacità di vivere intensamente, ogni attimo e di goderne. I giorni sono trascorsi velocemente, a ritmo serrato, ma sempre diversi. Tanti bambini che ogni giorno giocavano con noi, era spettacolare vederli correre tutti dietro a una palla a piedi scalzi, tra erba, terra e polvere che si alzava. Ero stupita dalla loro bravura e dalle impronte che lasciavano impresse sulla terra, dall'impegno che mettevano nel fare i giochi da noi proposti. Apprezzare tutto ed essere curiosi di ciò che non conoscevano e gioire per un occhiolino, una linguaccia, una faccia buffa, una cosa detta magari anche in modo errato per la lingua diversa, un battito di mani, ha riportato alla luce un’antica e primitiva gioia di vivere! Col passare del tempo ero convinta sempre più che non potevo essere in nessun’altra parte del mondo se non proprio lì, li proprio in quel momento, a dispetto della mancanza della famiglia, delle comodità, a dispetto di tutto. Qualche volta mi sono soffermata su come si vive lì, sulle prospettive future dei bambini sulle poche opportunità e ho faticato in tante situazione. Ad essere onesta non credo di esserci ancora riuscita, ma d’altra parte, si potrebbe mai? In varie occasioni l’accoglienza ricevuta mi ha spiazzata. Niente ma tutto! Non avevano nulla ma donavano tutto, il senso di comunità e di unione pur stando lì un mese, è una di quelle cose a cui non ci si abitua. Fatichi a comprenderlo e ne resti continuamente sorpresa. Ho assaporato ogni attimo il più possibile, fotografando nella mia mente ogni sorriso visto, ogni sguardo catturato, ogni abbraccio sentito con la speranza di rubare quegli istanti e portarli nel cuore probabilmente per sempre. Non so ancora in quali termini, ma certamente questa esperienza mi ha cambiata. La consapevolezza che ciò che hai fatto o donato non potrà mai essere abbastanza, un po’ fa male ma d’altra parte pur donando tutto ciò che avevo, sia materialmente che umanamente parlando, penso sempre che sia stata io ad aver ricevuto di più, più di quanto sia stata in grado di donare, probabilmente perché quello che mi porto a casa delle persone che hanno fatto la mia esperienza non può essere comprato, non ha prezzo, eppure ti riporta alla vita.